Qualche anno fa, i miei studenti facevano la fila per portare a casa una tesi sull’economia dell’open source. Erano gli anni in cui le foto di personaggi come Richard Stallman e Bruce Perens erano in bella vista sui quotidiani nazionali e le storie dei successi di software come Linux e Apache erano raccontate con un certo entusiasmo anche sulle colonne di giornali che di informatica si interessavano pochissimo.
Oggi il clima è cambiato. Gli studenti oggi chiedono di fare la tesi su Facebook e sui social network; l’open source non è più breaking news. Perché siamo un po’ perplessi sulle potenzialità dell’open source? Perché, almeno fino ad oggi, questa rivoluzione ha toccato poco l’offerta di servizi informatici e di consulenza che ha a che fare con il mondo delle imprese. Le società del settore, a parte poche eccezioni, sono rimaste affezionate ai pacchetti commerciali più consolidati. Almeno finora.
La ricerca presentata la scorsa settimana da Antonio Picerni e Alessandro De Rossi suggerisce qualche considerazione in più. L’analisi sull’offerta di servizi basata su piattaforme open source, ci dice la ricerca, sembra aver superato la fase “ideologica” e mette in evidenza nuovi operatori capaci di mettere insieme la partecipazione attiva alle comunità open source e la giusta attenzione al mercato. Dopo una fase di sperimentazione, si stanno affacciando sul mercato imprese che hanno smesso di scommetere sul modello open source in sé, puntando sulla possibilità di utilizzare in modo economicamente sensato un software che ha oggi caratteristiche di qualità e flessibilità superiori. Sono imprese che partecipano alle attività delle comunità perché consapevoli che solo la pratica della partecipazione attiva mantiene competitive le piattaforme su cui promuovere servizi.
Cosa manca ancora a queste piccole imprese di servizi per diventare protagonisti del mercato? Roberto Galoppini lo ha messo in evidenza nella tavola rotonda che ha seguito la presentazione dei dati. Queste micro-imprese – ha detto Galoppini – non hanno ancora imparato la logica della rete; non riescono a far valere una propria specializzazione perché non sanno chi chiamare al telefono quando il progetto scala verso l’alto per complessità e dimensione. Sono piccoli che lavorano coi piccoli.
La musica però potrebbe cambiare presto. E’ tempo di crisi e l’open source potrebbe essere una delle leve per una nuova generazione di servizi informatici low cost. Il software open source è di qualità, ma soprattutto non costa. All’evento di martedì scorso erano attese cinquanta partecipanti. Si sono presentati in più del doppio. Forse è il segno che oggi l’open source viene percepito davvero come un’opportunità da percorre.
Stefano
Aggiornamenti: il convegno è stato ripreso sul portale europeo OSOR.EU
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